Non è per niente facile raccontare una mattinata di sport splendida come quella che abbiamo vissuto domenica 3 febbraio nella storica cornice dello stadio dei Marmi dove, in occasione dell’incontro di rugby Italia-Francia (la prima delle tre gare casalinghe della Nazionale italiana nell’ambito del Sei Nazioni) che si è giocato di pomeriggio nel vicino stadio Olimpico, alcune società hanno dato vita ad un raduno di Mini rugby tra squadre Under 10 organizzato dalla Federazione Italiana Rugby con la collaborazione delle stesse società.
L’obiettivo era quello di promuovere questo sport a livello giovanile e sostenere una realtà che da anni è in netta espansione nella Capitale grazie al lavoro svolto nell’ombra e senza clamori dalle associazioni dilettantistiche e dalla stessa F.I.R., il cui sostegno alle società emergenti è concreto e costante.
Non è per niente facile, dicevamo, rendere l’idea dell’atmosfera che si è respirata, far rivivere il giubilo, raccontare le facce, spiegare l’odore dell’erba. Non è facile perché puoi usare tutte le parole che vuoi, scattare tutte le foto che vuoi, ma certe sensazioni non possono essere riprodotte in un articolo né vissute per interposta persona, quindi se non c’eravate è dura da far comprendere.
Però non disperate perché l’evento si ripeterà a breve, in occasione di Italia-Galles del 23 febbraio e Italia-Irlanda del 16 marzo, e potrete toccare con mano lo spirito che anima il mondo di questo meraviglioso sport.
Il rugby infatti è una realtà completamente a sé stante, diversa da tutto il resto, e qui te ne accorgi non appena scendi i gradoni dell’arena. L’aria che si respira è salubre, l’atmosfera è calda, gioiosa, coinvolgente, frizzante. Protagonisti in campo e spettatori fuori sembrano un tutt’uno.
C’è quasi un filo che li lega e c’è uno scambio di energia continuo fra loro. E poi c’è voglia, entusiasmo, collaborazione, propositività. Lo percepisci negli occhi delle persone presenti, dal tono delle loro parole.
“La F.I.R. ha contattato me e altri presidenti di squadre dilettantistiche di Roma chiedendoci se eravamo disposti a organizzare questa manifestazione in concomitanza con le partite del Sei Nazioni” – ci spiega Claudio Gallozzi, presidente della società Rugby Senza Confini e tra gli organizzatori dell’iniziativa – “Abbiamo accettato di buon grado anche perché un evento simile è sicuramente un ottimo viatico per promuovere questo sport a tutti i livelli”.
E in effetti l’intento sembra essere riuscito. Le tribune sono un brulicare festante di famiglie allegre e rumorose, i genitori stipati sugli spalti incitano la loro squadra, mentre il rettangolo verde è un autentico formicaio di bambini, allenatori, addetti e semplici osservatori. Si può tranquillamente passeggiare tra i campi di gioco e parlare con tutti. Non ci sono zone off-limits e non ci sono pass da dover esibire.
Sembra di stare ad una festa di paese, ci si trova così a proprio agio che non si vorrebbe più andar via.
Non c’è l’esasperazione delle partite di calcio giovanile, non ci sono genitori che incitano i figli allo scuoiamento dell’avversario, non c’è chi chiede lo scalpo dell’arbitro cornuto, non c’è nessuno che bestemmia o che insulta il prossimo.
In tribuna si ride e si scherza, e se l’epiteto più colorito che promana dagli spalti è “faje er solletico sotto l’ascelle”, seguito da una fragorosa risata collettiva, qualcosa vorrà pur dire.
“Qui siamo lontani anni luce dal mondo del calcio. Il rugby è uno sport sotteso di valori che vanno ben oltre il campo da gioco e che ne ispirano il regolamento. Rispetto dell’avversario, lealtà sportiva, solidarietà, sono principi che da sempre lo animano. Chi pratica il rugby, senza volerlo comunica per mezzo di esso.” – ci spiega Roberto, presidente della SPQR Gladiatori Rugby, una delle squadre partecipanti al concentramento.
Quello che colpisce è che questa realtà tutto sembra meno che elitaria. Non siamo in presenza di un circolo snobistico o di una setta di esaltati, ma di un mondo di gente comune pronta ad accogliere chiunque voglia entrarne a far parte.
“Sono tantissime le famiglie che si stanno “convertendo” e che scelgono di segnare i propri figli a rugby piuttosto che ad altre discipline, un trend sicuramente in ascesa” – continua Roberto – “A rugby si può iniziare a giocare prestissimo, noi per esempio partiamo addirittura dalla categoria Under 6”
Gli chiediamo se per i bambini il regolamento è lo stesso che per i grandi. “Sì, anche se fino alla Under 12 si parla di mini rugby, che è una disciplina leggermente diversa dal rugby a 15 in quanto si gioca solo con le cinque regole fondamentali. Anche quello a cui stiamo assistendo è un concentramento di mini rugby e la sua particolarità risiede nel fatto che non vi sono vincitori né vinti in quanto il suo scopo è solo quello di favorire la partecipazione. L’importante è che i bambini giochino e si divertano, il risultato non conta. Ogni allenatore ha l’obbligo di far giocare tutti i bambini convocati e non escluderne nessuno dalla formazione”.
Tuttavia, a giudicare dalla grinta che questi mini giocatori mettono in campo sembra che per loro il risultato conti eccome. Ma questo non è certo in contraddizione coi principi menzionati sopra. Anzi.
Da segnalare poi il momento più toccante dell’intera mattinata, quando a metà del concentramento tutti i ragazzi sono stati chiamati a raccolta per assistere all’intervento di Salvatore Perugini, giocatore delle Zebre e della Nazionale italiana che, asta della bandiera in pugno, ha ringraziato a nome della F.I.R. tutti i partecipanti e ha poi consegnato il tricolore nelle mani dei bambini, simbolo del futuro italiano di questo sport. Commozione autentica e groppo in gola per l’emozione.
Terminata la parentesi istituzionale, tutti in campo di nuovo fino al fischio di chiusura seguito dalla premiazione degli atleti. Dopodichè canonico “terzo tempo” e poi tutti in tribuna all’Olimpico per tifare Italia.
A questo punto ci fermiamo qui e lasciamo a fonti più qualificate la cronaca della partita degli azzurri.
A noi è bastato immergerci per un paio d’ore in un bagno di umanità che non avremmo mai immaginato, un trasporto e una passione così forti da costruirci sopra un intero movimento. Perché è delle fondamenta che ci volevamo occupare e sono le fondamenta quelle che permettono a tutte le cose grandi di rimanere stabilmente in piedi.
Valerio di Marco
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